Il concerto delle mazzole

Un tempo, nemmeno molto lontano, dalla marineria di Trezza risaliva un suono martellante, con ritmo cadenzato, un’armonia che riempiva le viuzze del borgo. Era il suono provocato dai colpi di mazzole assestati sulle teste dei ferri di calafato. Era un vero e proprio concerto, il concerto delle mazzole. Gianni Rodolico, mastro d’ascia da cinque generazioni, ricorda con commozione quei concerti corali che quotidianamente scandivano la vita del cantiere. Oggi abbiamo soltanto il ritmo dettato da un solista, che quasi si perde tra il frastuono del paese, e quella magia di un tempo sembra davvero molto ma molto lontana. 

L’antica arte di calafataggio affonda le radici in tempo lontanissimi. Il suo verbo “calafatare” si fa derivare dal latino “cala facere” che significa “fare caldo”, ossia fare calore per ripulire superfici incrostate da ripristinare. Anche nell’etimologia araba il termine assume lo stesso significato, derivando da “qalfat”. Tecnicamente il calafataggio è l’intervento mirato a rendere stagne le giunzioni fra elementi di legno. E per questo semplice, e importante motivo, il calafato (assieme al carpentiere) erano le figure professionali immancabili sulle navi, pronti ad intervenire per le eventuali riparazioni a seguito, magari, dei danni provocati da qualche palla di cannone nemico. 

Gli attrezzi per calafatare non sono molto ingombranti e, anche se numerosi, riescono benissimo ad essere raccolti in una pratica cassetta di legno denominata “scaravia”,che misura circa 50 cm di altezza, 33 di larghezza e 15 di profondità. Su di un lato vi è un’apertura a mezza luna da dove è possibile estrarre i ferri del mestiere. La praticità della scaravia non sta soltanto nell’essere un pratico contenitore, ma anche di essere un pratico sgabello da utilizzare in tre diverse altezze: in piedi, di costa e di piatto. Ancora oggi, il mastro d’ascia Turi Rodolico utilizza la sua scatola “magica” per i gli interventi di calafataggio, che ahimè sono sempre più rari. Si resta come ipnotizzati nell’assistere a questo lavoro, dove si ripete da secoli lo stesso intervento, con poche modifiche. Il calafataggio viene ancora eseguito alla stessa maniera di come veniva fatto anni or sono, con alcune modifiche nei prodotti utilizzati. Per i piccoli gozzi, al posto della stoppa catramata, si usa il cotone idrofilo, più comodo e pratico, soprattutto perché le fessure tra le tavole sono più sottili. “Per le grosse imbarcazioni usavamo la stoppa catramata, la prendevamo sia da Comis a Catania che da Forani, a Civitanova Marche, di ottima qualità – assicura Mastro Turi Rodolico-”. Oggi invece, come detto, visto il ridimensionamento del lavoro e visto che si effettuano soprattutto piccole riparazioni dei piccoli gozzi, è più che sufficiente l’utilizzo del cotone idrofilo. Il cotone viene “filato” con e mani con il semplice gesto di strisciare il cotone su una coscia (una volta si utilizzava un apposito tessuto in cuoio o magari un grembiule per riparare i pantaloni, o, come racconta Mastro Turi, alle volte si utilizzava mezza tegola a protezione dei pantaloni). Poi, la stoppa (o cotone) filato si inserisce nella fessura tra le commessure utilizzando degli apposti ferri “a paledda”, molto acuti per spingerla il più possibile in profondità. Si utilizzano diversi tipi di “ferri a paledda” in base allo spessore delle commessure. Inserita la stoppa ecco che si da il là al concerto…il mastro calafato prende la mazzola ed inizia, con una rapida successione di colpi, ad intonare il proprio concerto da solista assestando i colpi sulla testa del ferro. E improvvisamente quel ritmo ipnotico sembra catapultarci in un mondo passato, sembra quasi sentire in lontananza il vociare dei pescatori che, mentre rammentano le reti, discutono della battuta di pesca della notte scorsa. Qualche donna dal passo veloce si avvicina alla fontana per raccogliere dell’acqua fresca, mentre altre, con delle bambine, sono in prossimità dei lavatoi a lavare i panni. Qualche turista curioso passando ammira quell’affresco che solo il borgo dei Malavoglia sa regalare, e chissà magari lo stesso Verga ha assistito da vicino alla riparazione di una barca e ne ha tratto ispirazione per raccontare della Provvidenza e della sua riparazione per mano di Turi Zuppiddu.

Il concerto si interrompe, è il momento di compattare la stoppa all’interno del comento, ed è necessario prendere il ferro giusto, chiamato “calca stoppa”, e ne esistono di diversi tipi, il più comune è “u ferro a n’tagghiu” dice Nuccio Rodolico, utilizzato quando il comento non è troppo largo. Mentre “u ferru a du tagghi” (con 2 scanalature) veniva usato quando il comento è più largo.

Tra tutti gli strumenti utilizzati per il calafataggio sicuramente il più originale è la mazzola, una specie di martello interamente in legno perfettamente simmetrico sopra e sotto il manico, con la possibilità di essere utilizzata sia da un lato che dall’altro. In prossimità dell’estremità per colpire vi è un anello forgiato in ferro che evita la spaccatura del legno. Le sue dimensioni sono notevoli: circa 27 cm. di larghezza e 35 cm. di lunghezza del manico, con un peso che si aggira intorno ad un 1 kg. Caratteristica originale dello strumento è che la mazzola viene costruita dallo stesso mastro calafato per adattarlo perfettamente alle proprie abitudini: “qui al cantiere ne abbiamo diverse, un tempo venivano usate quasi tutte contemporaneamente…ma adesso”, dice sommessamente Mastro Turi. 

Generalmente il calafato praticava solo quest’arte, ma non era raro incontrare mastri d’ascia che sapessero esercitare egregiamente anche il mestiere del calafatato. In questo caso si aveva a che fare con operai completi e, di conseguenza, molto ricercati. E noi ad Aci Trezza abbiamo la fortuna di avere ancora oggi mastri d’ascia con l’abile competenza di calafataggio, che improvvisano sempre più raramente dei concerti solistici di mazzole. 

I tempi passati sono ormai un ricordo a cui la memoria storica del luogo cerca di aggrapparsi con tutte le forze per non farle disperdere nell’oblio. Ancora oggi, se andate ad Aci Trezza, e vi recate al cantiere Rodolico, potete sentire quel ritmo cadenzato dei colpi di mazzola, e allora chiudete gli occhi, ascoltate le vibrazioni e sarete trasportati in un mondo passato, dove vedrete ancora i pescatori che rammentano le reti, le donne dal passo veloce che si dirigono alla fontana, qualche pittore che pennella i bagliori di una splendida alba tra gli scuri Ciclopi. 

Tutto questo è stato e sarà sempre Aci Trezza, ed è ancora presto per abbassare il sipario sul concerto delle mazzole.

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